Democrazia ad intermittenza Biennale

Schermata 2015-03-22 alle 11.36.04

Tra i protagonisti (nonché partner) di Biennale Democrazia 2015, che si sta svolgendo dal 25 al 29 Marzo a Torino, la fondazione Compagnia di San Paolo è stata eletta portavoce dei “casi di trasformazione urbana e architettonica” che avrebbero promosso sul territorio cittadino “processi di partecipazione attiva che hanno assunto come fondamentali i valori comunitari, di coabitazione di generazioni diverse, dell’ecologicamente sostenibile, dell’assenza di barriere architettoniche, dell’interculturalità e dell’integrazione sociale.

Sono queste le parole che descrivono gli argomenti del dibattito “Chi costruisce la città?”, che si è tenuto ieri 27 Marzo, nei rinnovati spazi del Maneggio Chiablese della Cavallerizza Reale, a fianco della Cavallerizza Occupata. 

Insieme a Compagnia di San Paolo, per un confronto tra le diverse realtà territoriali, anche Michael La Fond, direttore dell’ Istitut for Creative Susteinability di Berlino e Federica Verona, coordinatrice del progetto milanese Zoia e Stefano Boeri, presidente della Fondazione dell’ Ordine degli architetti di Torino.

Una conferenza con biglietto da visita di sicura tendenza. 

Abilmente padroneggiate dal formalismo fuorviante dei discorsi istituzionali, le espressioni “interculturalità”, “integrazione sociale”, “ecologicamente sostenibile”, “coabitazione” e “partecipazione attiva” s’insinuano ormai da tempo negli obiettivi di pratiche di riqualificazione urbana che, ammiccando al bacino elettorale con terminologie falsamente inclusive, hanno invece l’obiettivo di rendere le città “efficaci” nuclei di competitività e produttività finanziarie.

Snodo di nevralgici scambi redditizi, i centri urbani si trasformano da “habitat”, tessuti socio-culturali dinamici, ad attori economici su cui esercitare imperativamente l’ autorità delle politiche di “governo del territorio”.

Ma non sono certi gli abusi linguistici a destare maggior preoccupazione: è altamente significativa, invece, la partecipazione a questo dibattito della Compagnia di San Paolo, promotrice del proprio Progetto Housing, di cui recentemente è uscito l’ esito dello stanziamento di fondi per lo sviluppo di esperienze abitative innovative a uso sociale, finalizzate a: migliorare le opportunità abitative di persone in situazione di vulnerabilità economica e/o sociale; sviluppare nuove pratiche e servizi inerenti l’abitare sociale.” (così vorrebbero le linee guida del bando). Tali fondi sarebbero destinati ad una ventina di enti pubblici ed associazioni private o istituti benefici piemontesi per la realizzazione di diversi progetti abitativi rivolti a giovani, studenti, giovani coppie, “servizi di accompagnamento al cohousing”.

La maggior parte di questi progetti, inoltre, sarebbe solo una soluzione temporanea (si parla di un paio di annualità), benché vengano esaltati sulla carta il loro potenziali risolutivi ad alto contenuto sociale. Ma facciamo un passo indietro.

L’entusiasmo che sta attualmente dilagando nel dibattito politico, economico e giornalistico per il cosiddetto “social housing”, cui apparterrebbe anche il progetto di Compagnia di San Paolo, si colloca in un contesto in cui l’edilizia residenziale pubblica, ormai ritenuta insostenibile giogo sulle casse statali e regionali, viene progressivamente dismessa a prezzi d’asta di mercato per l’ulteriore riduzione di risorse da destinare ad una popolazione impoverita e con necessità di tutela crescenti (si fa riferimento all’ art. 3 del decreto n. 47/2014, Piano-Casa del ministro Lupi).

Paradossi: sembrerebbe che il “social housing”, espressione anglosassone che non significa nulla di più che “edilizia sociale”, si ponga come soluzione evolutiva e progressista di un’ edilizia residenziale pubblica retaggio di un welfare fallito ed evocativa (come purtroppo è vero) di quartieri e zone residenziali lasciati spesso in stato d’incuria, abbandono o addirittura vuoti. Insomma, risorse da destinare al social housing, ma non all’ e.r.p., la cui offerta abitativa si sarebbe ridotta a partire dagli anni Ottanta del 90%, a fronte di un incremento dei canoni di mercato del 105% nel solo periodo 1991-2009. L’ esistenza di una seria questione abitativa è ancor più innegabile attraverso questi ultimi dati ufficiali del Sistan: in Italia nel 2011 sono stati eseguiti circa 140 sfratti al giorni, l’ 87% dei quali per morosità, senza che venisse offerta alcuna soluzione di passaggio. E Torino ben conosce le problematicità dell’ alta tensione abitativa, non affievolitasi negli ultimi anni.

Quindi, mentre lo Stato si fa da parte de-responsabilizzandosi delle sue prerogative sociali, il “social housing”, i cui progetti di proposte abitative sarebbero gestiti dai fondi immobiliari, dalle fondazioni bancarie, dalle cooperative o dalle associazioni religiose, diventa strumento per monopolizzare la questione abitativa per il calcolo di margini di profitto privati, beneficiando di agevolazioni fiscali e contributi pubblici.

Da ben più di un decennio si assiste al protagonismo del privato nella gestione dell’ edilizia residenziale pubblica, unica risorsa a disposizione alle fasce di popolazione che non sono in grado di sostenere le condizioni deregolamentate del mercato, ma il diffondersi del “social housing”, sembra chiudere il capitolo di una liberalizzazione progressiva e pericolosa per l’uguaglianza sociale.

Ciò avviene parallelamente all’ arroccarsi del governo Renzi su posizioni che non tutelano affatto il diritto alla casa, ma che tramite il decreto Lupi e la negazione del diritto alla residenza o all’allacciamento alle utenze per chi occupa abusivamente un immobile (art. 5 del decreto n. 47/2014), violano gli stessi diritti alla salute e all’istruzione costituzionalmente garantiti e creano una nuova massa d’invisibili.

Nello specifico, il Programma Housing della Compagnia di San Paolo, fondazione che, ricordiamo, deve le sue prerogative sociali ed il suo sincero interesse per l’ equa redistribuzione delle risorse ad un patrimonio di 5,8 miliardi (dati 2013) ed alla partecipazione di Banca Intesa San Paolo per il 48% delle sue attività finanziarie, scrive nelle linee guida del bando:

Le proposte relative a questo ambito prevedono la temporaneità della residenza (fino a un massimo di 18 mesi), non definita a priori, ma determinata dal raggiungimento di obiettivi di autonomia abitativa.”, autonomia che non si comprende come possa realizzarsi in un arco di tempo così esiguo a fronte di una realtà di progressiva precarietà lavorativa e di generalizzata instabilità delle condizioni quotidiane del singolo o del nucleo famigliare;

Favorire l’accesso alla locazione (a canoni calmierati) per singole persone o nuclei familiari con limitate capacità di reddito, ma non caratterizzati o provenienti da situazioni di emarginazione e disagio sociale.”, caratteristica che mette in evidenza i criteri selettivi dei progetti di “social housing”, i quali dichiarano di voler contrastare la vulnerabilità sociale offrendo soluzioni abitative, ma definiscono tale vulnerabilità in maniera decisamente aprioristica e vincolata a specifici interessi. Sarebbero quindi escusi: Interventi di prima accoglienza, di pronto intervento o comunità alloggio; iniziative rivolte a persone, o a categorie di persone, in situazioni di disagio che necessitano di interventi assistenziali continuativi o per le quali non sia possibile ipotizzare, in prospettiva, un’autonomia abitativa; progetti rivolti a minorenni; i sussidi individuali destinati alla copertura dei costi abitativi.”

Se questi elementi sembrano sufficienti per porsi la domanda come possa il “social housing” delle fondazioni bancarie e dell’associazionismo speculativo sostituirsi all’ edilizia residenziale pubblica, mentre questa viene inoltre fatta scomparire, ancora più preoccupante è il singolo contenuto dei progetti destinatari dei fondi.

Ne citiamo due, in particolar modo: il progetto di “coabitazione solidale” della cooperativa Il Punto Onlus e il progetto Buena Vista della rete di cooperative e associazioni torinesi Social Club. Entrambe le realtà sono vicine di casa degli occupanti dell’ Ex-Moi, affatto beneficiari di simili trattamenti privilegiati e che anzi sono minacciati da una mozione di sgombero contro cui hanno marciato in corteo lo scorso sabato 14 Marzo. 

Ci sarebbero dunque fondi per finanziarie alloggi a canone “calmierato” che variano da 360 a 480 euro al mese (escluse spese utenze) o, in caso di alloggi per 5 persone, a 260 euro a stanza, ma non per dare risposte concrete a centinaia di rifugiati o a chi continua a subire sfratti.

Ma a nutrire il dibattito di Biennale Democrazia, Compagnia di San Paolo non sarà sola.

Al suo fianco prende parola la coordinatrice delle cooperative milanesi e del progetto housing Zoia, Federica Verona, architetto che nel 2012 pubblicò sulla rivista Domus l’articolo “Macao m’interessa, ma c’è qualcosa che non capisco”, dichiarando: “(…)senza neppure soffermarci sull’illegalità del gesto, non capisco a fondo l’occupazione di un luogo. Non la capisco, se prescinde dall’ambizione di creare un consenso intorno a sé. (…) In questo senso, forse, sarebbe stato più interessante invece produrre delle proposte di competenze da ‘vendere’ a chi costruisce la città.”.

Il riferimento è a Torre Galfa, sede di Macao, che sarebbe stata lasciata vuota da Immobiliare Lombarda, società della Fondiaria Sai, controllata dall’ indagata famiglia Ligresti. Torre Galfa sarebbe stata restituita tramite occupazione ad una cittadinanza che proprio a Milano, durante l’autunno scorso, mentre Zoia celebrava l’avviarsi del progetto di social housing, è stata sfruttata come caso mediatico per generare una percezione del disagio abitativo come questione di ordine sociale, censurando ogni legittima pretesa per il rispetto del diritto all’abitare attraverso blitz di centinaia di sgomberi condotti con aggressività e violenza eni quartieri popolari di San Siro e Giambellino.

La domanda “Chi costruisce la città?”, che fà da titolo all’incontro di Biennale Democrazia cui ha partecipato Compagnia di San Paolo, ha già una risposta.E’ una risposta chiara da tempo ed è una risposta inaccettabile.

Come movimenti per il diritto alla casa di Torino abbiamo voluto dare un valore aggiunto al contenuto cosiddetto democratico di questa Biennale.

 Sportello Diritto alla Casa Zona San Paolo, Via Millio 42 giovedì 18.30 – 20.30

Via Muriaglio Occupata, Via Muriaglio 11, Lunedì 18.30 – 20-30

Sportello Prendocasa, C.so Regina Margherita 47, Martedì 19.30 – 20.30

Sportello Ex Dazio Occupato di Pietra Alta, C.so Vercelli 440, Martedì 19.30 – 20-30